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Superfici di gioco nel tennis: differenze tra erba, cemento e terra rossa
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Superfici di gioco nel tennis: caratteri e differenze

 

Dando un’occhiata al calendario dei tornei ATP, possiamo osservare come la stragrande maggioranza di essi sia riservata ai tornei sul cemento, mentre uno spazio più esiguo viene lasciato alla terra rossa e in misura ancora inferiore ai campi in erba naturale. Certo, oggi esistono ancora i cosiddetti “specialisti”, cioè coloro che esprimono le migliori qualità su un certo tipo di superficie (come i cosiddetti “terraioli”) ma la situazione è notevolmente cambiata rispetto al passato.

 

La maggior parte di giocatori e giocatrici (specie tra i primi 100 al mondo) sono ormai diventati atleti capaci di ottenere buoni risultati a ogni cambio di superficie. Tale adeguamento appare molto recente in Italia, dove si è posta per anni la questione dei “campi veloci”. Il Belpaese è stato infatti imputato a lungo di “parteggiare” per campi in terra rossa e di produrre solo giocatori monotematici. Certo, giocatori della “vecchia guardia” come Fognini e Seppi dimostrano di cavarsela su ogni campo, ma tali progressi sono evidenti soprattutto nei giovani come Berrettini, Sinner e Sonego (con una buona evoluzione del servizio).

 

 

Ma quali sono le differenze tra una superficie e l’altra? Ha senso esprimere una preferenza? In tale discorso complesso, le indicazioni fornite possono differire in base a diverse variabili, tra cui quelle ambientali: umidità, vento, caldo asfissiante, pioggia, che possono modificare notevolmente sia la velocità del campo sia le condizioni generali di gioco. Ciò vale soprattutto nel delicato confronto tra superfici “indoor” (al coperto) e “outdoor” (cioè all’aperto). Inoltre è necessario un accenno su una tematica molto discussa negli ultimi anni, cioè quella del “rallentamento delle superfici”, che a detta di alcuni esperti sarebbe stata posta in essere per livellare la forze dei giocatori al vertice e rendere più equilibrati i match. 

 

Vero o no, chi aspiri a giungere ai vertici deve divenire un giocare non solo a tutto campo, ma anche capace di destreggiarsi su ogni superficie. Lo stesso vale per il “giocatore di club” e l’amatore, che possono migliorare e divertirsi quanto più viene alternato il campo di gioco. Ora vediamo quali siano le principali caratteristiche riguardanti le varie superfici tennistiche: erba naturale, cemento e terra rossa.

 

 

CAMPI IN ERBA NATURALE

Il campo in erba naturale può giovarsi della superficie più rapida e ciò è dovuto al fatto di essere scivoloso, morbido e dal rimbalzo spesso irregolare e imprevedibile, che spesso rimane molto basso. Dunque il giocatore ideale “da erba” è colui che possiede un buon servizio ed è abile nel gioco di rete. Particolarmente efficace risulta anche il back di rovescio, che può rendere il rimbalzo particolarmente basso e veloce. Riguardo a giocatori del passato, pensiamo a John McEnroe e Boris Becker, mentre oggi il riferimento obbligato è a Roger Federer, capace di vincere per ben 8 volte a Wimbledon, il torneo su erba per eccellenza e anche il più prestigioso nella storia del tennis.

 

 

Tali caratteri rendono certamente le partite su erba particolarmente avvincenti, con scambi rapidi e spettacolari, ma la naturalità della superficie è anche causa della facile deteriorabilità, che porta nei giorni successivi agli inizi dei tornei a far parlare di “erba battuta”. Inoltre, visti gli ingenti costi di mantenimento, solo pochi rinomati circoli possono permettersi tale superficie, che si può ritrovare ovunque nella sua variante – per nulla attinente – sintetica.

 

 

CAMPI IN CEMENTO E IN SINTETICO

La superficie sicuramente più diffusa è il cemento, che trova negli US Open di New York il riferimento principale. La superficie liscia e regolare consente un rimbalzo abbastanza veloce e non troppo alto. Risulta quindi adatto al classico schema di gioco “servizio e dritto”, tipico della scuola dei bombardieri americani. La diffusione del cemento è favorita inoltre dal fatto che, a differenza della terra rossa e dell’erba naturale, non richieda particolare manutenzione. Ma il lato “dolente” è che, trattandosi di superfici dure, può portare a lungo termine a problemi fisici seri (problemi alla schiena, agli arti inferiori), mentre “studi” scientifici hanno dimostrato che terreni morbidi come quelli in terra e in erba ridurrebbero il rischio di traumi fisici.

 

 

Inoltre, come nel caso dell’erba, alla prima goccia di pioggia il gioco deve essere interrotto, per la pericolosità indotta dalla scivolosità del campo. Una precisazione è doverosa: dal cemento si distinguono i campi in “sintetico”, usati prevalentemente nei tornei indoor. I caratteri di tali superfici in resina multicolori, che variano a seconda del materiale utilizzato, si basano su una velocità inferiore al cemento ma al contempo superiore alla terra rossa.

 

 

CAMPI IN TERRA BATTUTA

Nei campi in terra battuta (rossa oppure blu come nel Master 1000 di Madrid) la velocità di palla appare più ridotta e adatta agli specialisti “terraioli” in grado di scivolare abilmente sulla superficie. Colpo particolarmente adatto appare il top-spin, che rende il rimbalzo alto e lungo, aumentando così l’importanza del colpo in risposta. Il servizio, invece, è privilegiato nella sua varietà “tagliata” e piazzata, piuttosto che nella “botta piatta”. Dunque la terra battuta è il campo dove si impara e si perfeziona l’abilità nella costruzione del gioco, che porta molto spesso a scambi lunghi, favorendo atleti “maratoneti” come Nadal e Ferrer.

 

 

Tornei “emblematici” sono il Roland Garros di Parigi e il prestigioso torneo del Foro Italico a Roma. Ma anche in tale caso tali caratteri sono soggetti a elementi “esterni”, come l’umidità e la pioggia che possono appesantire il campo rendendo la palla ancora più lenta, oppure alle buche che si formano nel terreno rendendo i rimbalzi irregolari. Il rovescio della medaglia è che, al contrario delle altre superfici, sia possibile proseguire il gioco in caso di pioggia non troppo battente.

 

Articolo scritto da Franco Fusè

 


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